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Visioni

Monteverdi femminista, in scena “Le ingrate” di Letizia Renzini

Romaeuropa festival . Oggi e domani a Villa Medici l'operina multimediale dell'artista fiorentina

Una scena dal "Ballo delle ingrate", operina ideata e diretta da Letizia Renzini (nella foto in basso)

Dopo il debutto con il tutto esaurito al Museo Marini di Firenze, torna a Roma oggi (con due repliche alle 20 e alle 22) e domani (solo alle 20), «Il ballo delle ingrate», operina multimediale ideata e diretta dalla performer e artista visuale fiorentina Letizia Renzini. È un site specific, rielaborato nella cornice di Villa Medici in occasione del Romaeuropa festival, dove il madrigale di Claudio Monteverdi, rappresentato per la prima volta a Mantova nel 1608, in occasione delle celebrazioni per il matrimonio di Francesco Gonzaga e Margherita di Savoia, viene smontato e remixato trovando una decifrazione femminista in un’ottica spregiudicata e contemporanea. Al centro della riflessione, il matrimonio e il suo rifiuto da parte di una tipologia femminile (letteraria e non) di tutti i tempi: l’ingrata è una donna anticonvenzionale non disposta alla resa incondizionata all’altro prevista dalla relazione amorosa. A fronte di un dolce compromesso, l’Ingrata, amazzone e zitella, emancipata e impossibile, dea e meretrice, talentuosa e indomabile, scomoda e attraente, ambìta e temuta, rifiuta il legame, preserva l’individualità e non cede.

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È una fantasmagoria «Il ballo»: le donne, narra il testo di Ottavio Rinuccini, rifiutano l’amore o per meglio dire il matrimonio, dunque sono classificate ingrate e finiscono all’inferno. Ma la rivolta continua, per cercare rimedio Cupido, divinità amorosa, si reca nell’oltretomba, e chiede a Plutone di far tornare in vita le ingrate per mostrare quanto sia triste la loro esistenza. Ne scaturisce un ballo, appunto delle ingrate che tornano al mondo. Coreografie di Marina Giovannini interpretate da lei stessa e in parte da due giovanissime danzatrici: con loro si sperimenteranno le trasfigurazioni dei modelli coreografici seicenteschi e delle composizioni scultoree dell’epoca: quadri, passaggi, bassorilievi che sulla scena rivelano una presenza fragile e trasparente. Testi originali di Theodora Delavault, esecuzione musicale a cura della soprano Sabina Meyer, l’installazione luminosa Light Glass è di Manuela Menici.

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